Da "IL SOLE 24 ORE" di martedì 10 febbraio 2009 |
IL PAY GAP IN ITALIA INCHIESTA 4 I numeri della previdenza La pensione rosa vale la metà L`assegno di vecchiaia risulta dimezzato rispetto a quello degli uomini di Davide Colombo E' una parità ancora tutta da costruire quella tra uomini e donne in pensione. Un obiettivo lontano se si considera che sul terreno previdenziale gli effetti di una riforma si leggono solo dopo decenni e a patto che, nel frattempo, il legislatore non cambi il quadro normativo. Se si guarda alla situazione "di fatto" e si lascia per un momento sullo sfondo il dibattito politico sull`allineamento dei requisiti legali di pensionamento tra sessi, si scopre che nell`anno che s`è appena concluso l`assegno di vecchiaia medio annuo di una donna è stato circa la metà di quello di un uomo (8.670 euro contro 16.484). Per avvicinare al massimo i due trattamenti bisogna guardare alla media totale delle diverse gestioni Inps, come risulta dal Casellario centrale dei pensionati. Ma la distanza che si incontra resta ampia. Anche tenendo conto delle reversibilità (un pezzo di pensione maschile oggi percepi ta da circa 2.807.000 donne contro gli appena 379.000 uomini) e degli assegni assistenziali (appannaggio di oltre un milione di donne contro i 576mila maschi) la differenza è più del 35%: 9.454,27 euro è l`importo medio annuo di una pensionata, 14.601,38 quello di un pensionato. Perché le cose stanno così è presto detto: i due sessi arrivano alla maturazione dei requisiti per la previdenza obbligatoria con un vissuto lavorativo e contributi- vo ancora oggi molto diverso. Il gap tra stipendi (come raccontato nella puntata del 4 febbraio della nostra inchiesta) in alcuni settori arriva a toccare i125%, nelle pubbliche amministrazioni è circa il 15%, tra il io e il 12% nei settori del commercio e dei servizi. Le donne guadagnano meno perché fanno meno carriera, meno straordinari. E accumulano più assenze perché, fuori dal lavoro, hanno una famiglia di cui occuparsi. Questi differenziali, quando si arriva al momento fatidico della pensione, crescono in proporzione geometrica per effetto di un`altra differenza: quella degli anni contributivi. Alla fine del2oo8 l`età effettiva di pensionamento di uomini e donne risultava pressoché identico, tra i 6o e i 61 anni. Ma mentre i primi ci arrivano avendo versato in media 34-35 annidi contributi, le seconde non superano i 25-26 anni. Dietro questi 9-1o annidi mancati versamenti ci sono tutte le situazioni di discontinuità d`impiego che vivono le donne e i tanti abbandoni del lavoro che scatta appena guadagnato il requisito minimo necessario per la vecchiaia (2o anni, dopo la riforma Dini). Il più forte tentativo di superamento di questo quadro asimmetrico è arrivato con le tre riforme degli anni Novanta (`92, `95 e `97) che hanno allineato i requisiti per il pensionamento, abolito le pensioni baby, alleggerito le generose pensioni di reversibilità e, soprattutto, lanciato il si stema contributivo. Poi il legislatore ha avuto qualche ripensamento e nel 2004 ha reintrodotto un differenziale d`età a vantaggio delle donne. E oggi il dibattito s`è riaperto proprio sul requisito di vecchiaia con riferimento al pubblico impiego, dopo la sentenza del 13 novembre scorso della Corte di giustizia europea. Il Governo ha già chiarito che l`adeguamento non si allargherà al settore privato, dove le donne potranno continuare ad andare in pensione a 6o anni (contro i 65 degli uomini). La maggioranza resta infatti convinta che l`anticipo vale ancora come risarcimento forfettario di fine carriera e protezione per le donne che rischiano più degli uomini di perdere il lavoro prima di aver maturato i requisiti. Ma è un fatto che nella prospettiva del nuovo regime (nel 2017 andranno in pensione gli ultimi "retributivi" con 4o annidi anzianità) il valore della pensione sarà sempre più legato ai contributi versati. Un aiuto all`equiparazione verrà, nelle pensioni future, dai coefficienti di trasformazione, base di calcolo per la trasformazione del montante contributivo in assegno pensionistico. I coefficienti che entrano in vigore il prossimo anno sono unisex e se tali resteranno garantiranno un vantaggio per le donne: la loro aspettativa di vita, elemento base per la costruzione dei coefficienti, resta di circa cinque anni più lunga di quella degli uomini (84 contro 78,3) il che significa, ma la prospettiva è ancora lontana, assegni un po` più pesanti ,rispetto a quelli degli uomini.
|